Cari pagliacci assassini,
fin dall'adolescenza ho avuto una grande passione per il genere horror. Sarebbe per me impossibile fare una classifica della miriade di film, cortometraggi e serie TV che ho visto nel corso degli anni, ma ci sono alcune opere che hanno un posto speciale nel mio cuore. Una di queste è sicuramente la miniserie It, adattamento del celebre romanzo del maestro Stephen King. Proprio oggi, il 21 febbraio di 30 anni fa, veniva trasmesso in Italia il primo episodio, ed è in previsione di questo anniversario che ho deciso di creare un mio sentito tributo.
Certo, vista oggi non si può dire che non sia invecchiata, e già all'epoca della messa in onda gli effetti speciali non spiccavano, specie nel finale. Ciò non toglie che sia stato un cult, capace di destare non poco scalpore e rimanere impresso come uno dei prodotti televisivi più spaventosi del periodo, seguito da classici come X-Files e Twin Peaks. Riuscireste a non elogiare l'interpretazione di Tim Curry nel panni del mostruoso protagonista, che ha contribuito senza dubbio a rendere la figura di Pennywise un'icona di massa? Impossibile!
Ed è proprio alla scena del primo incontro con il clown danzante quella a cui mi sono ispirata per comporre il mio scatto. Senza addentrarmi troppo nei particolari per non rovinare la sorpresa a chi non conoscesse la storia, si tratta di quando il piccolo Georgie, giocando per strada durante una giornata di pioggia, perde la sua barchetta di carta dentro un tombino. È in quel momento che da dentro la fogna fa la sua comparsa Pennywise e... sarà l'inizio di un incubo!
Quando vidi la serie non avevo ancora letto il libro, e in tutta sincerità è stata probabilmente una fortuna. Il romanzo è talmente denso di accadimenti, pà thos, tematiche (quasi sempre drammatiche, o particolarmente sensibili) che qualsiasi adattamento al suo confronto non può che uscirne, passatemi il termine, "inferiore".
Toglietevi dalla testa che sia un romanzo che possiede il solo intento intrattenere e impaurire. Riesce egregiamente in ambedue questi obbiettivi credetemi, ma va molto, molto oltre. È una storia di formazione e di scoperta su come non si smetta mai veramente di crescere e imparare, e di come la paura (di noi stessi, dell'ignoto, del fallimento e del dolore) non si possa addomesticare, ma vada affrontata quotidianamente, pena esserne schiavi per tutta la vita, anche quando si è adulti e socialmente inseriti.
Quindi, grazie Stephen per questa opera che continua a spaventare e far pensare.
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